L’elettroforo perpetuo
È costituito da un disco di resina posto su un supporto isolante e da un disco di ottone munito di un manico di vetro o di legno. Inizialmente i due dischi vengono riscaldati per eliminare ogni traccia di umidità; quindi si batte fortemente la resina con una pelle di gatto o con un panno. In questo modo la resina si elettrizza. Si pone allora il disco di ottone sul disco di resina: la carenza di fluido della resina (elettrizzazione negativa) determina una richiesta di fluido all’ottone, il quale sposta il fluido verso la resina e rimane carente dello stesso nella faccia opposta.
Se uno sperimentatore, per esempio isolato dal suolo, tocca la faccia superiore del disco di ottone con un dito, parte del suo fluido passa sul disco; l’uomo diventa carente di fluido (si elettrizza negativamente) e il disco rimane in eccesso di fluido (si elettrizza positivamente). Infatti, se si solleva il disco di ottone tenendolo per il manico isolante e gli si avvicina la mano, il fluido in eccesso presente sul disco e quello in difetto che si trova sulla mano si riequilibrano producendo una viva scintilla.
Poiché la resina può restare elettrizzata assai a lungo (anche per mesi), l’esperimento può essere ripetuto molte volte, anche senza battere la resina con la pelle; ciò significa che con una sola operazione di elettrizzazione è possibile ricavare dall’apparecchio quantità pressoché illimitate di fluido elettrico positivo, da cui il nome di elettroforo perpetuo. (Si veda la “Lettera al Priestley del 10 giugno 1775”).
Secondo l’interpretazione attuale il disco di ottone si carica, per induzione, con cariche dello stesso tipo della resina sulla faccia superiore e cariche di tipo opposto su quella inferiore. Toccando con il dito la faccia superiore del disco, si prelevano le cariche presenti su di esso. Sul disco rimangono pertanto solo le cariche di tipo opposto.