Pila a corona di tazze
Sempre nella lettera a Sir Joseph Banks, del 20 marzo 1800, Volta così descrive un’altra versione del suo apparecchio, la serie di tazze: «Si dispone dunque una serie di più tazze o coppe, di una qualsivoglia materia, eccettuato il metallo, tazze di legno, di scaglie, di terra, o meglio di cristallo (dei piccoli bicchieri per bere o ciotole sono i più indicati) riempiti a metà di acqua pura, o meglio di acqua salata o di usciva; e si fanno comunicare tutte, se ne forma una specie di catena, mediante altrettanti archi metallici, di cui un braccio Aa, o solamente l’estremità A, che è immersa in una delle ciotole, è di rame rosso, o giallo, o meglio di rame argentato, e l’altra Z, che è immersa nella ciotola seguente, è di stagno o meglio di zinco.
Io osserverò qui di passaggio, che la usciva e gli altri liquidi alcalini sono preferibili, quando uno dei metalli che deve essere immerso è lo stagno; l’acqua salata è invece preferibile quando sia lo zinco. I due metalli di cui si compone ciascun arco, sono saldati insieme, in una parte qualsiasi, al di sopra di quella che è immersa nel liquido; e che deve toccarlo con una superficie sufficientemente larga; perciò è conveniente che questa parte sia di un pollice quadrato o poco meno; il resto dell’arco quando si voglia più stretto è anche un semplice filo metallico.
Può anche essere di un terzo metallo, differente dai due che sono immersi nel liquido dei bicchieri; poiché l’azione sul fluido elettrico, che risulta da tutti i contatti dei diversi metalli che si succedono immediatamente, la forza con la quale questo fluido si trova spinto alla fine, è assolutamente la stessa, o quasi, di quella che esso avrebbe ricevuto dal contatto immediato del primo metallo con l’ultimo, senza alcun metallo intermediario, come io ho verificato con esperienze dirette».