La bilancia elettrometrica
I vari elettroscopi (a foglie d’oro, a pendolini di sambuco o a pagliuzze) quando siano abbastanza sensibili, permettono di misurare, con un’opportuna scala graduata, la divergenza dell’apparato mobile, e da questa risalire all’elettricità presente su di esso. In tal caso funzionano da elettrometri. Tali strumenti, tuttavia, non sono in generale molto precisi e ciò induce Volta a utilizzare in molti esperimenti il cosiddetto elettrometro assoluto.
Questo strumento è costituito essenzialmente da una bilancia in cui uno dei piatti è sostituito da un piattello di ottone elettrizzato. Tale piattello è affacciato ad un secondo piattello non elettrizzato, fisso e isolato, o meglio ancora, a un piano conduttore collegato al suolo, detto da Volta “piano deferente”. Il piattello elettrizzato desta nel piano deferente elettrizzazione di tipo opposto; pertanto tra i due corpi si manifesta una forza di attrazione, che può venire accuratamente misurata ponendo sull’altro piatto della bilancia pesi in quantità sufficiente a ristabilire la condizione di equilibrio. In questo modo Volta trova la relazione che esiste tra la forza di attrazione, la quantità di elettricità presente sul piattello, il diametro del piattello stesso e la distanza fra piattello e piano deferente.
I risultati di Volta non si accordano del tutto con quelli di Coulomb, ottenuti con la bilancia di torsione, e anche per questo motivo lo strumento di Volta non troverà molto seguito. Solo molto più tardi, nel 1845, il giovane scienziato inglese William Thomson (1824-1907), poi Lord Kelvin, dimostrerà che i risultati di Coulomb erano validi soltanto per cariche puntiformi (e non per le configurazioni usate da Volta e da altri sperimentatori) e che i risultati di Volta sono perfettamente compatibili con quelli di Coulomb. Thomson realizzerà un elettrometro assoluto del tutto simile a quello di Volta e lo utilizzerà per misurare la forza elettromotrice di una batteria di pile.